venerdì 4 aprile 2014

La Droga e l'onestà



La droga è un fenomeno che colpisce tutte le fasce d’età, naturalmente quanto più uno è giovane tanto più è vulnerabile, ribelle, innamorato o innamorabile; le passioni da giovani sono più forti che da vecchi e quella della droga è una folle passione, un folle innamoramento di una persona nei confronti di una sostanza che diventa poi più importante di qualsiasi altra cosa. Tutte le epoche hanno avuto un consumo di sostanze sin dai tempi di Noè e tutte le epoche continueranno ad averlo. La ricerca del piacere è innata nell’uomo che, come tutti gli animali, insegue il piacere e sfugge il dolore. Inoltre l’uomo è mortale quindi è sempre alla ricerca della pillola dell’ immortalità o della felicità.


Mi ripongo la domanda:porca miseria  perché ci si droga?

Forse perché

- perché ci si sente soli e si è soli;
- perché si soffre di depressione;
- perché si proviene da una famiglia assente o malata;
- perché c’è una mancanza di valori;
- perché da ragazzi ci si sente invincibili;
- perché ci può essere un fenomeno di imitazione verso altri ragazzi;
- perché la droga si trova ovunque e costa poco;
- perché non c’è abbastanza informazione sull’argomento…

è tutto vero! Ma… Veramente, perchéci si droga? Lo sapete perchè?

 Ci si droga perchè “la droga è buona”!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

La gente che si droga è gente debole e con problemi, tutti i problemi sopra  elencati. fa una cosa stupida, ma non è stupida. Perché la prima volta la droga è sempre, sempre, sempre, sempre, sempre, sempre buona; ti fa star bene, risponde in modo sincero e immediato a un tuo bisogno, risolve il tuo problema, ti dà quello che gli altri non sono stati capaci di darti.

All’inizio si tratta solo di fumo: hashish, marjuana…
Ma ben presto si trova qualche ragazzo più grande che porta le pastiglie (ecstasy o mdma), e “
calarsi” è una cosa abbastanza normale, soprattutto nei weekend.
Queste sostanze costano così poco, che ci si può ‘calare’ anche 4-5 volte in una sera: 10 euro, non di più. Vuoi non avere 20euro in tasca?
Poi con l’ecstasy ti senti bene: non a caso queste droghe chimiche vengono chiamate sociali. Facilitano la socializzazione. Solo che dentro son piene di merda (sì, scusate, l’ho detto!!!!!): componenti chimici studiati a tavolino, fuori da qualsiasi controllo, potenzialmente pericolosi. In pratica tu sei una cavia umana, perché, essendo dei prodotti fuorilegge, non saprai cosa c’è veramente dentro finché non l’avrai mangiato e assorbito.
Allora mi chiedo cosa si può fare per aiutare i nostri ragazzi?
L’unica strada che mi si pone davanti, di fronte a tutto questo, è
l’onestà.
Dobbiamo dire ai nostri ragazzi la verità. Perché loro sentono sempre dire che le droghe uccidono (e in molti casi è vero, ma non così tanti come vogliamo credere…) e poi se disgraziatamente una volta le provano, non solo non muoiono, ma si sentono pure bene, si divertono. E si sentono totalmente invincibili. E pensano che noi grandi siamo i soliti bugiardi, che ci inventiamo che la droga fa male e che in realtà non è per niente vero, perché loro l’hanno presa e sono stati benissimo.

Allora cerchiamo di essere onesti.
Diciamolo, ai nostri ragazzi, che alcune persone ci restano secche al primo colpo, e che altri le provano e si sentono bene. Alcuni ne usciranno devastati. Altri no.

Perché dire questo?
Perché se dite che il fumo uccide, quando vostro figlio vedrà il
pusher del quartiere che ha 50 anni e si fa 20 canne al giorno, non vi crederà.
Se gli dite che una pastiglia di ecstasy uccide, la prima volta che andrà in discoteca e vedrà che metà della gente si
cala, non vi crederà più.
Se dite che dalle canne si passa sicuramente all’eroina, quando al centro sociale vedrà il suo professore di ……………….. che si fa una canna, non vi crederà.

La morte per i consumatori di droga è un evento comunque raro.
E in ogni caso la morte non è un deterrente per un adolescente che si crede onnipotente.

Quello che invece non è affatto raro, sono le conseguenze che dovrà affrontare nella sua vita normale: tutto quello che le droghe apparentemente danno di buono, se lo prendono con gli interessi dopo un po’ di anni.
Potrebbe accadergli di diventare impotente, di avere problemi cardiaci, di dover passare tanto tempo all’ospedale, di avere un deficit dell’attenzione, di avere turbe comportamentali e disturbi della personalità, di passare attraverso l’anoressia e la bulimia, di perdere la capacità di studiare e memorizzare, di cadere in depressione.

Potrebbe accadergli di entrare in un contesto sociale in cui è possibile avere molti problemi: potrebbe beccarlo la polizia, potrebbe finire in galera, potrebbe entrare a far parte di un mondo borderline, privandosi per sempre della sua              g i o v i n e z z a.
Ragazzi…………………………..
Davvero ne vale la pena?????????????????
Se volete potete rispondere a questo mio blog, mi farebbe veramente piacere leggere le vostre considerazioni.
In ogni caso vi risponderò sempre dicendovi:
Ma ne vale davvero la pena??????????????????????

“La vita è un bene prezioso”


Il bere con gusto e intelligenza è un piacere non trasformarlo
in un dispiacere per te e per gli altri.
Impariamo a conoscere l’alcol per poterlo apprezzare

            Che cos’è l’alcol?
L’alcol etilico o etanolo è prodotto dalle fermentazioni degli zuccheri presenti nella frutta, nei cereali, in alcuni semi e tuberi.
            Accanto ai fermentativi (vino, birra, sidro) esiste anche un’altra categoria di bevande alcoliche: quella dei “distillati” (grappa, whisky, gin, wodka, rum, tequila ecc.). Il processo di distillazione, a partire dai fermentativi consente di eliminare progressivamente il contenuto di acqua ed inquinanti, fino a vari gradi di concentrazione. In tal modo si può ottenere anche alcol ad altissima gradazione per usi diversi da quelli alimentari.
            L’uso di consumare bevande alcoliche ha accompagnato la storia stessa dell’uomo e delle sue civiltà, dalle meno alle più evolute. Studi hanno messo in luce come tutti i popoli hanno sfruttato largamente il fenomeno della fermentazione di cereali per produrre bevande.
            Nell’antichità, l’alcol era solo per pochi eletti. E anche per questo raramente portava all’emarginazione. Anzi era considerato una sostanza che “apriva la mente”, tanto che Socrate e Platone ne facevano abbondante uso durante il loro filosofare. Nelle religioni antiche, tremende ubriacature di vino e birra aiutavano, con la danza, il cembalo (clavicembalo) e i tamburi, a raggiungere l’estasi della musica.
            Questi aspetti storici e culturali sono importanti per far comprendere in primis ai giovani che un distillato o un cocktail è un piacere che non deve diventare un dispiacere. Beviamo per festeggiare un evento speciale, per incontrare amici o altro. Molti giovani bevono emulando dei modelli per non “sfigurare” con  propri amici e perché tutti bevono. Il consumo di alcol tra i giovani è un fenomeno preoccupante perché sempre più in aumento sia a livello nazionale che internazionale.
Da molti anni l’incidenza della dipendenza da alcol è in aumento in tutto il mondo. Per lo sviluppo di questa condizione interagiscono tre fattori causali: personalità, ambiente e assuefazione alla sostanza. Così a parità di tutti gli altri fattori, le personalità insicure o immature presentano un rischio maggiore rispetto agli individui emotivamente maturi.
            I fattori ambientali sono importanti, soprattutto la propria disponibilità, il prezzo accessibile e l’accettazione sociale dell’alcol nella cultura e nella morale dell’individuo e delle persone inserito in un contesto lavorativo o nei momenti di svago. Occorre quindi informare ed educare i giovani al bere con messaggi istruttivi dove si possono apprendere l’arte e la cultura della liquoristica e della miscelazione.
            Va subito detto che l’alcol non è un nutriente anche se un grammo di alcol libera diverse calorie, esse però sono calorie “vuote”, cioè non apportano sostanze nutritive.
            A differenza delle altre sostanze nutritive, l’alcol una volta entrato nel nostro organismo deve essere obbligatoriamente metabolizzato ed eliminato, perché produce acetaldeide che è una sostanza tossica e cancerogena, ed oltretutto l’alcol non può essere immagazzinato come riserva, come avviene per gli zuccheri e i lipidi. L’etanolo dopo che è stato assorbito si diffonde nei fluidi corporei, e può essere eliminato attraverso il respiro, la sudorazione e le urine, ma la stragande maggioranza dell’etanolo viene metabolizzata (assimilata, dai vari tessuti, ma il ruolo chiave nel metabolismo dell’alcol lo svolge il fegato). L’assorbimento dell’alcol inizia a livello dello stomaco, ma è più pronunciato a livello intestinale. La molecola dell’alcol è molto piccola e solubile in acqua: ecco perché, una volta ingerito, l’alcol è assorbito velocemente per semplice diffusione, senza dover sottostare ai lunghi tempi della digestione. A digiuno la velocità di assorbimento è più elevata, mentre a stomaco pieno è più lenta. Il fegato è l’organo che metabolizza la maggior parte dell’etanolo ingerito, trasformandolo, per ossidazione in acetaldeide. L’acetaldeide è una sostanza molto tossica, che non si riesce a smaltirla tutta si accumula proprio nel fegato, che quindi subirà i danni maggiori. Dopo circa 15-20 minuti, l’alcol si trova nel sangue e, attraverso il torrente sanguigno, è veicolato a tutti gli organi e distretti corporei, i suoi effetti crescono in modo direttamente proporzionale rispetto al tasso e alla quantità assunta.

Non dimenticare mai che
non sei tu che abusi dell’alcol…………
E’ lui che abusa di te…………

L’ambiente pedoclimatico

www.vinocibo.it -di Nicola Tamburrino

latitudine e altitudine, terreno e clima, sono i fattori che più di altri
Vigneto della Valpolicella
determinano la buona riuscita dell’impianto di un nuovo vigneto, sulla base di moderne tecniche colturali e di precise disposizioni legislative, sia italiane sia europee. La vite è una pianta piuttosto esigente nei confronti delle condizioni climatiche, perché teme il freddo, ma anche il caldo eccessivo non fa produrre frutti di qualità. Nel nostro emisfero, quello boreale, la fascia territoriale nella quale
vigneto delle Langhe
la vite si sviluppa al meglio è compresa tra il 40°-50° parallelo di latitudine, in particolare a cavallo del 45°,anche se in alcune zone più a nord danno ottimi risultati. Tra tutti si possono ricordare i territori lungo la Mosella e il Reno, in Germania, dove attorno al 50° parallelo vitigni come il riesling e il gewürztraminer sviluppano i loro intensi profumi. Nell’emisfero australe le zone migliori si distribuiscono invece nella fascia compresa tra il 30°-40° parallelo.
Vigneto zona Avellino

Vitigno e portainnesto

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La produzione di vini di qualità è strettamente legata alla scelta del vitigno e del portainnesto, senza perdere mai di vista le caratteristiche pedoclimatiche della zona nella quale avviene l’impianto del vigneto. Non tutti i vitigni mostrano la stessa adattabilità alle diverse condizioni climatiche e territoriali. Dopo un breve periodo di ambientamento, alcuni si adattano perfettamente in quasi tutte le zone, altri sono molto più difficili.
Tra i primi si possono ricordare chardonnay, merlot, cabernet, savignon e altri ancora, che pur affondando le proprie radici storiche a latitudini piuttosto elevate e con temperature fresche, hanno saputo acclimatarsi anche in regioni molto calde, sia in italia sia in altre zone viticole mondiali. Tra quelli più esigenti,due esempi molto significativi sono il pinot nero e ancora di più il Nebbiolo, che riesce ad esprimere tutta la sua personalità quasi solo nelle Langhe, con l’eccezione circoscritta della Valtellina. Il rischio da evitare è quello che la rincorsa al risultato garantito , facile ed immediato, porti all’abbandono di molti vitigni locali, che dovrebbero invece essere riscoperti e valorizzati, per non
Barbatella
perdere l’incredibile patrimonio ampelografico. La pianta della vite è formata dal vitigno o cultivar e dal piede o portainnesto. Per evitare l’azione micidiale della fillossera, il portainnesto è quasi sempre di origine americana. In Valdadige e in alcune zone in Argentina, Cile e Portogallo, si trovano ancora vitigni coltivati su piede franco, cioè senza il portainnesto di origine americana.
Le condizioni di fertilità e umidità del terreno di questi territori, favorendo un ampio sviluppo radicale della vite, la mettono infatti in condizione di resistere meglio agli attacchi del parassita. Per migliorare le resistenza della vite alle malattie, la sua produttività e la qualità delle uve, attualmente si svolgono importanti ricerche e sperimentazioni per la selezione di nuovi cloni e per il miglioramento di quelli già esistenti. All’interno di ogni qualità esistono infatti diversi cloni, cioè più individui geneticamente identici, con specifiche caratteristiche riguardo la fertilità, la forma del grappolo e dell’acino, la capacità di accumulo di zucchero e di sostanze coloranti e odorose. Ad esempio di Sangiovese ci sono attualmente almeno una quarantina di cloni, distinti con numeri o sigle,altrettanti per il pinot nero, 15 di nebbiolo, 15 per il barbera, 20 di chardonnay ecc. Spesso si parla di vitigni autoctoni e alloctoni, a volte con un po’ di confusione, perché per molti non è così semplice risalire a una loro origine certa. Il vitigno autoctono è quello che è nato in una certa zona e che continua ad essere coltivato. Il punto è proprio questo: in alcuni casi non si sa bene se il vitigno sia nato proprio in quella zona, quindi questo termine sta assumendo un’eccezione più ampia, in quanto si riferisce a un vitigno che da molto tempo, almeno diversi decenni cresce e fruttifica in un certo territorio. Esempi di vitigni autoctoni certi sona: albana, Schiava, Grignolino, Brachetto, Nebbiolo, un po’ meno sicuri sono: Barbera, Aglianico, Primitivo, Vermentino. I vitigni alloctoni o internazionali sono di più immediata identificazione. Chardonnay, Sauvignon blanc, Riesling, Cabernet franc, Cabernet sauvignon, Merlot, Pinot nero, Syrah ecc.. Sono ormai diffusi in ogni continente dove cresce la vite.
Vitigno Nebbiolo

La Vigna

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Un esempio di vigna particolare, di forma rotonda
l’impianto di una nuova vigna crea un piccolo ecosistema, nel quale vitigno, terreno, microclima e tecniche colturali devono interagire alla perfezione per raggiungere i risultati migliori, grappoli d’uva ricchi di colore, zuccheri, sostanze estrattive e profumate, che si esprimeranno in vini di tutte le tipologie, bianchi e rossi, leggeri e strutturati, da bersi giovani e da invecchiamento, fermi, frizzanti e spumanti. La qualità in vigna viene determinata dalle scelte effettuate nel momento in cui si decide di impiantare un nuovo vigneto. Tra tutte, quelle che scatenano le maggiori discussioni, determinando anche diverse filosofie produttive, sono il territorio e il vigneto. Da sempre i francesi cercano di favorire e premiare il cosiddetto TERROIR, termine che non si riferisce solo alla composizione e alla struttura del terreno, ma a tutto ciò che è legato all’ambiente pedoclimatico e al microclima. Tutto questo si esprime in modo ancora più specifico nel concetto di CRU, che coincide con una zona molto ristretta, nella quale la combinazione delle condizioni di clima, terreno e altro ancora, determina la particolarità della produzione. Anche in Italia si tende a privilegiare questo tipo di scelta, che si esplicita nelle Denominazioni di Origine Controllata e Garantita. Diversa è la situazione nei paesi che solo negli ultimi decenni hanno assunto importanza nel mondo della vitivinicoltura mondiale, come California, Cile, Argentina, Australia, Sudafrica e Nuova Zelanda, dove le maggiori attenzioni si concentrano sul vitigno

I PROBLEMI DELLA VITE

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Peronospora della vite
Oidio della vite
La vite è una pianta delicata, che soffre il freddo invernale, le gelate primaverili e la grandine, ma la prolungata siccità e le eccessive piogge, in determinati terreni, possono provocare stress idrici o asfissia radicale, che ne danneggiano o rallentano lo sviluppo. Non solo, perché virus e funghi, colpendo la radice e le foglie della vite, possono indebolire la pianta, così come le carenze nutrizionali del terreno, le condizioni troppo abbondanti e le coltivazioni intensive. Per esempio un eccesso di potassio causa la carenza di calcio e magnesio, con un conseguente disseccamento del raspo, oppure un apporto troppo abbondante di azoto provoca un maggior rigoglio vegetativo a discapito della qualità. Spesso si ricorre a concimazioni organiche con letame o concime vegetale. In terreni destinati a produzioni di qualità in genere non si utilizzano concimi minerali,anche se a volte l’integrazione mirata di azoto e fosforo può migliorare la finezza e l’aromaticità delle uve, mentre potassio magnesio, calcio e zolfo danno maggior turgore alle viti coltivate in terreni poveri e dilavati. Peronospera, oidio e il vettore del mal d’esca (stereum irsutum) sono alcuni tra i parassiti fungini più pericolosi per la vite. La peronospora si diffonde più nei climi umidi e con molte piogge, mentre l’oidio predilige climi più secchi e afosi. Situazione a sé è quella della Botrytis cinerea che, come tutte la altre muffe, in genere danneggia l’uva, ma che in un paticolare stadio di sviluppo e condizioni pedoclimatiche adeguate, da grandi risultati..
•Ragnetti, tignole e cicaline sono alcuni tra gli insetti più diddusi che provocano danni a carico della vegetazione o della produzione, non mortali, ma a volte di elevate proporzioni. C’è però l’eccezione dello Scaphoideustitanus, cicalina che negli ultimi anni ha creato non pochi problemi. Vettore della temutissima flavescenza dorata, normalmente presente nei vigneti,porta ad una degenerazione lenta della pianta, fino alla sua morte per costrizione dei vasi vascolari. Questa cicalina si nutre e cresce pungendo le foglie e succhiandone la linfa, attività che diventa micidiale quando nel vigneto sono già presenti piante malate di flavescenza dorata, perché la trasmissione della malattia è istantanea. Tra i parassiti che provocano danni a livello radicale si possono ancora ricordare la già citata fillossera ed i nematodi, piccoli vermi che vivono nel terreno e che possono trasmettere alcune virosi, come l’accartocciamento fogliare, l’arricciamento e la suberosi.

La Maturazione dell'Uva

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La maturazione dell'uva inizia quando gli acini ingrossano e si colorano, la polpa si ammorbidisce e
concentra gli zuccheri,soprattutto il fruttosio, che in parte sostituisce il glucosio. Contrariamente a quanto
avviene negli altri tipi di frutta, nei quali il fruttosio è molto più abbondante di tutti gli altri zuccheri, nell'uva, anche a piena maturazione, la sua percentuale è simile a quella del glucosio, definito per questo zucchero dell'uva. I lieviti che svolgono la fermentazione alcolica trasformano più velocemente proprio il glucosio, fatto che spiega la facilità con la quale si possono instaurare fermentazioni spontanee, dovute per esempio ai lieviti indigeni o selvaggi presenti nella buccia dell'uva. Non tutte le sostanze presenti nell'acino aumentano durante la maturazione. Gli acidi, per esempio, diminuiscono,soprattutto il malico, il più aspro e aggressivo, presente in quantità maggiori nelle uve non del tutto mature e in quelle coltivate nelle zone più fredde. La cosa importante è che resti l'acido tartarico, fondamentale nel determinare l'acidità del mosto. Fino a qualche anno fa il momento della vendemmia veniva deciso solo sulla base del rapporto tra zuccheri e acidi, mentre negli ultimi anni ci si basa anche su altri fattori. Si può infatti parlare di maturità tecnologica, fenologica e aromatica, aggiunte in genere tra la seconda metàdi agosto e la fine di ottobre, in funzione del tipo di vitigno, dell'ambiente pedoclimatico, dell'andamento stagionale e della tipologia di vino che si desidera ottenere. Proprio a causa di tutte queste variabili, non sempre questi momenti coincidono. La maturazione tecnologica viene valutata in base al rapporto tra zuccheri e acidi. Di conseguenza per favorire la produzione di un mosto più ricco di acidi fissi, soprattutto nelle zone calde la raccolta delle uve viene un po' anticipata.

La maturazione fenolica coinvolge, come dice il termine, la componente fenolica dell’uva, più concentrata nelle bucce e nei vinaccioli. Quando le uve raggiungono questo stato di maturazione, la membrana delle cellule della buccia si trova nella situazione ottimale per permettere la massima dissoluzione dei componenti fenolici nel mosto, soprattutto gli antociani. Nel periodo che precede la maturità fenolica i tannini potenzialmente estraibili dai vinaccioli assumono maggior importanza, mentre per quelli delle bucce si ha una maggiore estraibilità nei casi di sovramaturazione delle uve, quando gli antociani tendono a diminuire un po’. Sintetizzando, si può dire che lasciando maturare le uve un po’ più a lungo, si ha un incremento della componente fenolica che contribuisce a rendere il vino più strutturato e ricco di tannini, e una leggera diminuzione di quella che rende il colore pieno e compatto. Il caso ideale è quello nel quale maturità tecnologica e fenolica coincidono, a conferma di un perfetto adattamento del vitigno all’ambiente pedocliclimatico e di un ottimo andamento stagionale. A volte può succedere che la maturità fenolica venga raggiunta un po’ in anticipo rispetto a quella tecnologica,come accade più spesso nelle zone calde. In questo caso se si atende la piena maturazione tecnologica si perdono un po’ di antociani e quindi di colore. In caso conrario è più frequente nelle zone settentrionali e più fredde, nelle quali si tende a fa sovramaturare un po’ l’uva, per avere vini comunque ricchi di pigmenti ma non troppo di tannini, che darebbero un’eccessiva ruvidità al vino. La maturazione aromatica è legata in particolare all’accumulo degli aromi varietali, soprattutto del gruppo dei terpeni. Queste sostanze possono essere libere nella polpa e quindi percepite anche masticando un chicco d’uva, come per il moscato, oppure possono essere legate a molecole di zucchero, nel qual caso diventeranno volatili e quindi percettibili dall’olfatto solo in seguito a reazioni di idrolisi nel mosto e nel vino. L’accumulo di sostanze aromatiche nelle bucce tende ad aumentare durante la maturazione, per poi diminuire se questa viene prolungata. La maturazione dell’uva dipende da numerosissimi fattori, come la superficie fogliare esposta, il peso delle uve/ceppo, il numero e la fittezza degli acini nel grappolo, la disponibilità di acqua nel terreno e altri ancora.